Mario Gallù,  L’Isola d’Ischia da terra di emigranti a terra di immigrati               

 

CONCLUSIONI

 
Testimonianze di ieri, quando gli emigranti eravamo noi, testimonianze di oggi, di immigrati nella nostra terra, si somigliano nelle cause, nelle aspettative e nella nostalgia, pur essendo questi due fenomeni distanti tra di loro nel tempo. Sia nelle lettere e nelle testimonianze dei nostri emigranti, sia nelle lettere e nelle testimonianze dei nostri immigrati rimane vivo il ricordo della terra natale, attraverso il richiamo continuo ai luoghi, ai cibi, ai parenti ed agli amici… 
Accanto alle varie comunità presenti nell’isola, quelle di ultima generazione (a partire dalla metà degli anni ’90 in poi) sono costituite soprattutto da Ucraine, Russe, Bielorusse e Rumene. E’ un’immigrazione sull’isola prettamente al femminile. Ischia, tra l’altro, non fa che riflettere in piccolo quello che è un fenomeno nazionale che, seppur ancora poco analizzato e studiato, conferma i dati Istat del 2005 che registravano 93.000 Ucraine in Italia, più 8.000 nuovi visti d’ingresso. Questo fenomeno di emigrazione al femminile è in controtendenza rispetto all’emigrazione degli isolani che vedeva in genere partire prima gli uomini, per poi essere raggiunti dalle mogli e dai figli o dalle mogli sposate spesso per procura.
Secondo la Caritas, tra le tante comunità presenti in Italia quella con più donne è la comunità Ucraina, con circa l’85%. «Di fronte alle tragiche difficoltà economiche del nostro Paese siamo state noi le prime a partire e a farci carico, a distanza, del mantenimento delle nostre famiglie» spiega Tatyana Kuzyk, addetta allo sportello informativo dell’Associazione romana. Un’indagine del 2004 compiuta da sociologi ucraini ha evidenziato che il 95% delle donne ucraine ha lasciato i figli in patria, per cui un’intera generazione di bambini ucraini sta crescendo senza le mamme. I figli, sempre secondo la ricerca, sono affidati soprattutto ai padri (32%) o le nonne (23%). Spesso tutta la famiglia è sostenuta dalle donne. Ogni ucraina in Italia mantiene 4 persone. E non mancano esempi di nonne ancora giovani che emigrano per mantenere figli ma soprattutto nipoti.  Nella catena della cura, figlia della modernità e della globalizzazione, le donne accudiscono e assistono persone sconosciute da un’altra parte del pianeta, ma non possono stare vicino ai propri familiari ed accudirli. «Il paradosso dell’emigrazione femminile ha due facce: da una parte, permette alle famiglie rimaste nel Paese d’origine di sopravvivere e di guardare al futuro; dall’altra, rompe i legami familiari» come sottolinea Oles Horodetskyy, presidente dell’Associazione Cristiana Ucraini in Italia. (C. MOCCALDI – P. BAUDET VIVANO, Irina, tra nostalgia e futuro, da La Repubblica delle Donne, Anno 11, n° 514 del 2 settembre 2006, pp. 89-92.)
Anche Ischia, in piccolo riproduce la fotografia nazionale, attirando un esercito di “Badanti” dell’Est europeo. Tra l’altro le badanti sono le occupate per tutto l’anno, mentre gli occupati nei lavori legati all’industria del turismo sono soggetti alla stagionalità del lavoro (estivo), come tra l’altro i lavoratori locali, per cui tutti insieme, locali e immigrati, nella stagione invernale sono costretti a riciclarsi in altri lavori   (muratura e altro) o a spostarsi nei luoghi del turismo invernale per continuare a svolgere il proprio lavoro. Certo i movimenti migratori di ieri e di oggi, pur essendo fenomeni di massa, rispondono alle stesse motivazioni: sfuggire la miseria e la fame e rincorrere la speranza di migliorare la propria condizione personale.  
   
CONCLUSIONI

 

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