- 1940: sulle montagne
della Grecia
- La mia cartolina di chiamata
alle armi arrivò il 2 febbraio del 1940.
- Quel giorno tutto finì e tutto
ebbe inizio. Con un compagno partii a piedi
per lo scalo di Forenza e di lì, con il treno, per il distretto militare
di Potenza.
- Dopo la visita venni assegnato al 128° Reggimento di Fanteria di
Firenze. Giunto a Firenze mi equipaggiarono: pantaloni alla zuava con le fasce
gambiere, fucile 91, giberne con 72 cartucce. A Firenze in un mese completai
l’addestramento. Ero affascinato dalla bellezza di quella città. Nella libera
uscita affollavamo i casini: erano pieni di belle donne.
-
- Il 3 marzo 1940 eravamo in
partenza per l’Albania. Viaggiammo in treno fino a Bari e di lì effettuammo
la traversata per Durazzo. Una volta
a Durazzo venimmo smistati all’84°
Reggimento di Fanteria, sotto il comando del generale Nasci, e inviati alla caserma di
Elbasan. Lì collaborammo anche alla
costruzione della strada Labinot-Tirana, aggregati all’impresa
italiana che stava realizzando l’opera. Intanto proseguiva la nostra
preparazione militare. Ad Elbasan ebbi dal tenente i gradi di caporale, ma non li
portai mai per evitare rogne e pericoli.
-
- Il 10 giugno 1940 entrammo in
guerra contro la Francia e la Gran Bretagna.
- Il mio battaglione venne inviato a presidiare il villaggio di Piskupia,
ai confini con la Iugoslavia. Era estate e la vita
nell’accampamento era accettabile, mentre ci giungevano notizie dei successi
delle nostre truppe in Africa Orientale. Così arrivammo in autunno.
- All’improvviso ci comunicarono che eravamo in guerra anche contro la Grecia.
-
-
Il 28 ottobre il nostro battaglione lasciò Piskupia per il fronte. Dopo
cinque giorni di marcia, resa difficoltosa dalle condizioni del terreno,
giungemmo al lago di Pogradec. Eravamo euforici e fiduciosi dell’esito della
guerra:
-
- “...in due mesi spezzeremo le reni ai Greci e in 12 mesi occuperemo la
Grecia ! ”
-
- Questo era il messaggio giuntoci dal Duce. I Greci si sarebbero arresi
presto. Così pensavamo.
- Invece i Greci ci vennero
incontro e avanzarono fino a Stavarova. Eravamo appena giunti
a Pogradec che il nostro battaglione subì un pesantissimo attacco di
artiglieria. Per due ore consecutive rimanemmo sotto il fuoco delle batterie dei
cannoni greci. Fu una strage, del
mio battaglione morirono in duecento fatti a pezzi dalle bombe, io stesso mi
salvai miracolosamente.
-
-
-
-
- Mi avevano assegnato le mansioni
di portaferiti di compagnia. Sulla divisa portavo la fascia con la croce rossa e
l’unica arma in dotazione era una pistola calibro 9. Soccorremmo due fratelli di
Firenze, entrambi feriti, si chiamavano Cutolo, uno di essi si salvò.
- Durante il bombardamento trovai
riparo sotto un costone, cercando di coprirmi con la barella dalle schegge che
volavano tutto intorno, mentre, per la polvere che si era sollevata,
facevo fatica pure a respirare. Fu la disfatta della divisione Taro, che
subì gravissime perdite di uomini e di materiali.
-
- Quella notte, con una guida
albanese, ripiegammo verso il monte Salaces. Marciammo tutta la notte con i
muli e le salmerie. Lì mantenemmo il fronte per tutto l’inverno.
-
- La neve, fortunatamente,
impediva l’avanzata dei Greci. Avevamo scavato le trincee e steso il
reticolato tutto intorno, i nemici erano a meno di un chilometro da noi. Ogni giorno, con l’intento di
demoralizzarci, si rivolgevano verso di noi con un altoparlante:
-
- “Italiani
arrendetevi!”
-
dicevano, oppure:
- “Venite qui e vi offriremo le sigarette”,
-
o anche:
- “Gettate le armi, fate combattere Mussolini!”.
-
|
|
- Un giorno dei reparti greci da
montagna, con gli sci, avanzarono velocemente verso di noi e presero prigionieri
i soldati di una nostra intera compagnia che si trovava in una postazione
avanzata. Tutti noi osservammo l’azione
senza poter fare nulla, anche l’artiglieria non intervenne per non colpire i
nostri compagni.
- L’inverno fu terribile.
Eravamo a circa 1.100 metri di altitudine e trascorremmo mesi nella neve,
all’addiaccio, coprendoci la
testa in tre con un telo da tenda, seduti sull’elmetto, senza mai dormire.
- Eravamo laceri, i
pantaloni ghiacciati si spezzavano lasciandoci scoperte le gambe. I
pidocchi ci martoriavano le carni e, tranne la testa, ricoprivano tutto il
corpo. Si annidavano anche al di sopra del cappotto, al calore delle ascelle.
- I
viveri arrivavano dalle retrovie, trasportati con i muli, quando era possibile;
a volte stavamo giorni e giorni senza mangiare. L’unica consolazione era che i
Greci avevano postazioni più elevate delle nostre e soffrivano il freddo come e
più di noi.
- Il 13 aprile 1941, giorno di
Pasqua, riprese l’avanzata. I tedeschi avevano invaso la Grecia, prendendo le
armate greche alle spalle. Le forze
greche si coprirono la ritirata con un violento fuoco di artiglieria. I nostri
reparti rispondevano al fuoco; finalmente erano arrivati rinforzi ed armamenti.
|