Fatto notevolissimo del 15 Maggio 1940: a Cosenza
 
 
Sapevo che quella mattina Mussolini sarebbe venuto a Cosenza: la notizia però non m’interessava, e stavo a studiare nella mia stanza quando arrivò Dario ad invitarmi ad andare ad assistere: mi avrebbe accompagnato in un posto adatto per vedere tutto, però dovevo far presto.
M’incuriosii, e andai con lui. Mi condusse in un punto strategico, alla fine del Corso, che inizia poco dopo l’uscita dalla Stazione Ferroviaria, e diviene un rettilineo abbastanza lungo, alla fine del quale girava a sinistra e portava alla Casa del Fascio, titolo specifico, mi pare, Federazione, sede del Federale (onnipotente).  
Noi eravamo di fronte a questa curva. La gente non tardò a coprire sia il marciapiedi ove eravamo noi, che l’opposto. Furono schierati subito i soldati armati sul piano stradale davanti alla gente. Di fronte ai soldati i militi fascisti, che quindi guardavano i soldati e noi. Nel corridoio, i gerarchi andavano su e giù ripetendo con ritmo cadenzato: “quando arriva il Duce, battere le mani – quando ...
Erano attenti ad osservare se su ogni balcone v’era un balilla in divisa e bandierina in mano. Capitò che scorsero proprio sopra di noi si trovasse il balcone senza balilla: “un balcone senza balilla! Un balilla per quel balcone!
La raccomandazione dei gerarchi era alternata da canti fascisti, con assordanti altoparlanti. Appariva evidente la paura dei gerarchi di un’accoglienza non gonfiata: con le conseguenze...per loro. 
Dopo un bel po’ sentimmo annunziato l’arrivo di Mussolini alla Stazione Ferroviaria. Non passò molto, e comparve la macchina: il Duce, in piedi, dritto, al centro, con le quattro eminenze del Partito, i Quadrumviri, seduti ai quattro angoli. Uno di essi, Michele Bianco, cosentino (quindi padrone di casa).
La presenza dei quattro era richiesta dalla gravità del discorso che il Capo stava per pronunziare: loro quattro non potevano essere assenti e dovevano confermare con la loro presenza e con i loro calorosi battimani: non potevano mancare.
Man mano che la macchina avanzava, le ovazioni crescevano sempre più: anche per ragioni osmotiche di folla.
Il comportamento mio: sono stato sempre presente a me stesso, quindi sono sfuggito alla legge dell’osmosi. Ero andato lì di mia iniziativa e sapevo che dovevo accettare le norme di comportamento, senza suscitare casi inutili.
Quando la macchina giunse ove mi trovavo, battei anch’io le mani, ma con consapevole moderazione: senza spellarmi le mani, però.
Passata,  la macchina del Duce girò per andare alla Federazione, ove il Duce avrebbe parlato. I militari (dell’Esercito e fascisti), furono spostati lì, e vi andò pure gran parte della gente. Le macchine di vari giornali chiudevano quella curva.
Noi e parecchi rimanemmo ov’ eravamo. Non essendovi ancora il video, sentimmo soltanto, senza veder nulla (non dispiaceva, a me almeno).
Ovviamente, parlò delle imprese belliche di Hitler e accennò indirettamente al Trattato di Monaco (29 Sett. ’39, in cui si pensava di aver scongiurato una 2^ guerra mondiale) e alle imprese di Hitler in atto, gridò a squarciagola le parole (le tengo presenti, col tono di voce e le sospensioni):
disse: “i tratatiiii.........son carta-stràcciaaaa”.
Era, ripeto, il 15 maggio 1940, a Cosenza e il 10 giugno stesso anno: l’imbelle-borioso Mussolini gettò l’ITALIA in guerra accanto al famigerato Hitler: firma-carte Vittorio Emanuele III.
 
Forenza, 15.10.2004
                                                                                    P. Gabriele Ronzano OFM
 
         
 
 
 
Padre Gabriele, al secolo Donato Ronzano, era nato a Forenza il 3 aprile 1915.
Orfano di guerra, a soli 11 anni entrò nel collegio serafico di Pietrafitta per seguire il cammino e l’insegnamento di Francesco d’Assisi. Dopo l’ordinazione sacerdotale, avvenuta a Forenza il 21 agosto 1938, venne trasferito a Cosenza con l’incarico di vice-maestro e di lettore di latino e greco. A questo periodo del suo soggiorno a Cosenza si riferisce l’evento rievocato in questo suo scritto inedito, da lui stesso affidatomi quando era in vita.
Figura luminosa di fede e di vita francescana, Padre Gabriele è stato anche uomo di cultura, pregiato scrittore, nonché persona di notevole spessore civile. Di convinzioni democratiche, non mancò mai di sostenere con fermezza, sia nell’ambito religioso che laico, il valore della libertà e della democrazia contro ogni totalitarismo. Padre Gabriele è stato uomo e profeta di pace. Ma la pace non la confuse mai con l’arrendevolezza.
In un suo libro, commentando la figura manzoniana di Padre Cristoforo,  afferma:
"E’ comodo distribuir sorrisi, chinare il capo, non contrastare il passo all’iniquità, in nome della pace: questo tipo di pace non è evangelico. La pace ad ogni costo appare allettante, a prima vista, ma per poco che la si esamini, se ne vede la ripugnanza; Cristo non ha perseguito la pace ad ogni costo, non ha evitato l’odio dei tanti, cui il suo messaggio era troppo scomodo. Vi sono valori che non possono essere sacrificati a nessun costo, perché più importanti della vita stessa, la quale priva di essi, non avrebbe senso." [1]
 
Il valore della vera pace per lui  non poteva essere disgiunto da quello della verità e della giustizia. Rievocando un altro episodio occorsogli durante il Fascismo, scrisse:
"Rifiutavo il regime fascista proprio per la mancanza di libertà su tutta la linea. Nella Casa del Fascio, a Cosenza, contrastai fermamente il Console, buscandomi senza deflettere una minaccia di deferimento al Federale. Probabilmente, se mi avesse deferito, si sarebbe buscato lui una pedata...'là, dove ‘l sol tace' (Inf. 1.60: interpret. ironica). Bisogna essere lieti di dare il proprio scotto alle convinzioni per le quali si è lavorato. (Allora) la libertà di parola non la si poteva pensare neppure. In democrazia la libertà di parola non si può negare, come non si può limitare il diritto di difendersi e di chiedere giustizia." 
 
Padre Gabriele è morto il 30 marzo 2007.
Chi ha avuto il privilegio di conoscerlo è stato affascinato dal religioso e dall’uomo: semplice e prestigioso, umile e carismatico. Autenticamente francescano.
                             
                                                                                                        Renato Mancino
           

[1]  “Fermo e Lucia.  I Promessi Sposi”, pag. 34,  Casa editrice Il Salice

 

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