- Sapevo che quella mattina Mussolini sarebbe venuto
a Cosenza: la notizia però non m’interessava, e stavo a studiare nella
mia stanza quando arrivò Dario ad invitarmi ad andare ad assistere: mi
avrebbe accompagnato in un posto adatto per vedere tutto, però dovevo
far presto.
- M’incuriosii, e andai con lui. Mi condusse in un
punto strategico, alla fine del Corso, che inizia poco dopo l’uscita
dalla Stazione Ferroviaria, e diviene un rettilineo abbastanza lungo,
alla fine del quale girava a sinistra e portava alla Casa del Fascio,
titolo specifico, mi pare, Federazione, sede del Federale
(onnipotente).
- Noi eravamo di fronte a questa curva. La gente non
tardò a coprire sia il marciapiedi ove eravamo noi, che l’opposto.
Furono schierati subito i soldati armati sul piano stradale davanti
alla gente. Di fronte ai soldati i militi fascisti, che quindi
guardavano i soldati e noi. Nel corridoio, i gerarchi andavano su e
giù ripetendo con ritmo cadenzato: “quando arriva il Duce, battere
le mani – quando ...”
- Erano attenti ad osservare se su ogni balcone v’era
un balilla in divisa e bandierina in mano. Capitò che scorsero proprio
sopra di noi si trovasse il balcone senza balilla: “un balcone
senza balilla! Un balilla per quel balcone!”
- La raccomandazione dei gerarchi era alternata da
canti fascisti, con assordanti altoparlanti. Appariva evidente la
paura dei gerarchi di un’accoglienza non gonfiata: con le
conseguenze...per loro.
- Dopo un bel po’ sentimmo annunziato l’arrivo di
Mussolini alla Stazione Ferroviaria. Non passò molto, e comparve la
macchina: il Duce, in piedi, dritto, al centro, con le quattro
eminenze del Partito, i Quadrumviri, seduti ai quattro angoli. Uno di
essi, Michele Bianco, cosentino (quindi padrone di casa).
- La presenza dei quattro era richiesta dalla gravità
del discorso che il Capo stava per pronunziare: loro quattro non
potevano essere assenti e dovevano confermare con la loro
presenza e con i loro calorosi battimani:
non potevano mancare.
- Man mano che la macchina avanzava, le ovazioni
crescevano sempre più: anche per ragioni osmotiche di folla.
- Il comportamento mio: sono stato sempre presente a
me stesso, quindi sono sfuggito alla legge dell’osmosi. Ero andato lì
di mia iniziativa e sapevo che dovevo accettare le norme di
comportamento, senza suscitare casi inutili.
- Quando la macchina giunse ove mi trovavo, battei
anch’io le mani, ma con consapevole moderazione: senza spellarmi le
mani, però.
- Passata, la macchina del Duce girò per andare alla
Federazione, ove il Duce avrebbe parlato. I militari (dell’Esercito e
fascisti), furono spostati lì, e vi andò pure gran parte della gente.
Le macchine di vari giornali chiudevano quella curva.
- Noi e parecchi rimanemmo ov’ eravamo. Non essendovi
ancora il video, sentimmo soltanto, senza veder nulla (non dispiaceva,
a me almeno).
- Ovviamente, parlò delle imprese belliche di Hitler
e accennò indirettamente al Trattato di Monaco (29 Sett. ’39, in cui
si pensava di aver scongiurato una 2^ guerra mondiale) e alle imprese
di Hitler in atto, gridò a squarciagola le parole (le tengo presenti,
col tono di voce e le sospensioni):
- disse:
“i tratatiiii.........son carta-stràcciaaaa”.
- Era, ripeto, il 15 maggio
1940, a Cosenza e il 10 giugno stesso anno: l’imbelle-borioso
Mussolini gettò l’ITALIA in guerra accanto al famigerato Hitler:
firma-carte Vittorio Emanuele III.
-
- Forenza,
15.10.2004
-
P. Gabriele Ronzano OFM