La bellezza della guerra: colpito una, due, tre volte...
intervista di Renato Mancino
 
La signora Maria Ines passa le sue giornate osservando piazza Orazio dai vetri del balcone dell’antico palazzo di casa Marangelli.
A volte, quando monta la marea dei ricordi,  rivede il suo Michele attraversare la piazza, con la borsa contenente i fascicoli della cause trattate in pretura. Ne rivede il saluto usuale, dispensato a tutti con affabilità cortese, mentre rientra a casa.
Il loro matrimonio è stato un grande amore e la signora Ines, come una vestale, ne protegge  ogni ricordo  dall’oblio.  Con lucidità e precisione  ricorda e racconta le vicende di guerra del marito, tante volte ascoltate; descrive le difficoltà del dopoguerra e il lento affermarsi di nuovi riferimenti etici e culturali; con tenero affetto ripercorre i lunghi anni del loro felice matrimonio, ne ricorda perfino le parole, dalle prime fino alle ultime, le più struggenti, le più indimenticabili.
L’avvocato Michele Marangelli amava il calore della casa e della famiglia:  le aveva desiderate entrambe  intensamente nei lunghi mesi di guerra, in Africa, dove  la morte era la realtà quotidiana; la casa, la famiglia, la verde campagna di Venosa, i suoi studi in giurisprudenza  erano il sogno con cui aveva cercato di ingannare i suoi sensi nelle notti africane, insonni e pericolose, con la speranza di potervi ritornare un giorno.
 
 
                 
 

             

 
Classe 1917, figlio di notaio e studente in giurisprudenza a Bologna, suggestionato come tanti  dalla propaganda fascista dei GUF che gridavano “viva la guerra”, Michele Marangelli si era arruolato con entusiasmo e senza dubbio alcuno sull’invincibilità del nostro esercito.
Assegnato alla Fanteria Corazzata come carrista, venne destinato con il suo reparto al fronte in Africa Settentrionale.
Già alla partenza eluse la morte per caso: il decesso del padre, forse provocato dall’angoscia per la partenza del figlio, gli diede motivo di allontanarsi dal suo reparto per partecipare al lutto e lo sottrasse, così,  al destino che colse invece i suoi compagni d’arme, tutti periti nell’affondamento della nave che li stava trasportando in Africa. 

 

 

 
Fu ancora per caso che uscì indenne una prima volta dal campo di battaglia quando il suo carro fu colpito dai cannoni nemici, così come capitò una seconda e una terza volta ancora.
Allora era convinto di essere stato colpito,  poiché aveva il volto imbrattato dal sangue e da frammenti di carne e interiora. Ripulendosi si accorse  che appartenevano, invece, al corpo del povero commilitone che gli era al fianco.
Il suo destino non doveva compiersi in Africa.
Il 13 maggio del 1943 gli Inglesi ottennero la resa definitiva delle truppe italiane in Africa.
 
 

 

 
Michele Marangelli venne catturato e avviato nei campi di prigionia in Inghilterra.
La verde Inghilterra affascinò il giovane Michele che strinse anche amicizia con alcuni militari inglesi addetti alla vigilanza del campo. L’amicizia, spesso,  non conosce steccati. Ebbe ancora modo di incontrarsi con uno di loro che, agli inizi degli anni sessanta,  giunse a Venosa per fargli visita con la sua famiglia, dandogli  l’onore di rincontrarlo da pari: da uomo libero!
Finalmente la guerra ebbe termine. Si tornava a casa. Michele rientrò nella sua Venosa: il suo sogno si era potuto realizzare. Finalmente era nella sua casa, nella sua Venosa, nella sua famiglia; volle soddisfare subito un suo grande desiderio: chiese che gli preparassero.... una frittata! 
 

 
Ora i ricordi della guerra occorreva accantonarli,  bisognava riprendere in mano la propria vita. 
Michele ricominciò dai suoi studi in giurisprudenza. Decise di riscriversi all’Università di Bari e riprese a frequentare le lezioni. Non erano tempi facili, la pacificazione civile era ancora lontana. Un giorno  in facoltà sostenne un furioso litigio con uno studente che si permise incautamente di chiamarlo “imboscato”. Non poté tollerare una simile provocazione, Michele portava ancora cucito addosso il trauma della guerra con tutto il suo carico di sofferenza. Finì in rissa.
Un giovane professore intervenne per separarli. Si soffermò con Michele, ne ascoltò lo sfogo, ne comprese il malessere che lo accompagnava, ed ebbe per lui parole  intense, profonde che gli placarono l’animo.
Quel giovane, carismatico professore si chiamava Aldo Moro. Nacque tra loro un rapporto di  amicizia che durerà per tutta la vita. Moro ebbe il merito di motivare Michele a concludere gli studi e, dopo la laurea, lo spinse ad occuparsi di politica, facendolo aderire alla componente dossettiana della DC.
Michele Marangelli, nella sua successiva esperienza umana, ha trasmesso e insegnato ideali di pace di cui nessuno più di lui, che un giorno aveva creduto nella bellezza della guerra, poteva comprenderne l’infinita magnificenza.

                                                                                                                            Renato Mancino

 
 
 
A mio Padre
 
Nicla Marangelli
 
 
Ricordo…ricordo, una sera d’inverno eravamo tutti intorno al focolare. La neve scendeva danzando e si adagiava  come petali di fiori sul prato, scorgevo dal mio balcone la mia piazza, che accendeva la mia fantasia nei giorni estivi, tutta bianca e morbida come un cono di panna montata.
Il luccichio delle fiammelle, lo scoppiettare imbronciato dei ceppi ardenti e una  dolce, dolce carezza che abbracciava noi piccoli. Una voce dal timbro forte, un volto perso negli anni quaranta  e degli occhi colmi di  dolcezza e rimpianti.
Mio padre richiamandoci con fare sicuro incominciò a canticchiare una dolce melodia  per attirare la nostra attenzione e incuriosire i suoi piccoli distratti da quella magica atmosfera.
Il richiamo fu talmente forte che  legammo le nostre fantasie alle nuvole di neve, che ormai avevano imbiancato la nostra casa, e tendendoci le mani iniziò il suo racconto.
Il racconto “vissuto”da un uomo che ho amato tanto nella mia vita e che ancora amo.
“Ero un giovane universitario, iscritto al primo anno di giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Bologna. Provenivo dalla Badia di Cava, dove nell’estate del 1939 avevo conseguito la licenza liceale”.
I tumulti che di lì a poco si sarebbero scatenati erano racchiusi nelle letture di alcuni autori  e nulla faceva presagire che anch’io avrei fatto parte di quel gruppo di giovani universitari che hanno dedicato la loro vita per la Patria.
“Volontari per l’Africa è questo che chiede la Patria a Voi giovani universitari.” Questo il manifesto affisso in ogni angolo dell’Università. “Per arruolarvi rivolgetevi al servizio di leva sito al piano terra, porta n.10 della segreteria”.
Michele , Nino, Antonio e Dino, animati da spirito patriottico si arruolano e partono per l’Africa.
Aiutare la Patria ad espandersi, portare la nostra cultura a quelle popolazioni .
I giornali di allora titolavano: "L’Italia è pronta  per aiutare quelle indifese popolazioni!
Il viaggio lungo e faticoso li porta in Etiopia…ma l’inganno tutto italiano era in agguato.
Il giovane Michele carrista, dopo aver chiuso nel suo cuore gli affetti lasciati a Venosa, in quella bellissima piazza, inizia la sua storia di soldato.
Una storia tormentata e difficile.Gli aiuti dall’Italia, continua a raccontare, non arrivarono mai.
Solo taniche di acqua per i carri armati e niente benzina!!!!!!
Niente cibo, niente, niente,  solo deserto.
La solitudine, la paura,  la delusione di aver creduto in un mondo diverso diventano i compagni di viaggio anche durante la prigionia durata per tre anni, dove le bucce di patate e di banane erano il menù domenicale.
                                                      
L’Italia è libera. L’Italia è libera, gli Americani sono sbarcati in Sicilia, tanto faticosamente apprendeva da una radio  nascosta  sotto la sabbia in un sacco di iuta.
Ma l’Italia, la sua Italia era così lontana!!!!!
“Gli alleati sono troppo impegnati in territorio italiano – pensava - e di noi che cosa ne sarà?” commentava con gli amici commilitoni.
Al limite della sopravvivenza pensava “ho creduto in un ideale mi ricorderanno per questa lealtà, mal ripagata.”
…Ci spiegava commosso che una truppa inglese occupava il campo di concentramento dove loro erano relegati.
Probabilmente, sosteneva, erano state  le preghiere della nonna e l’aiuto che il nonno, deceduto dopo alcuni mesi dalla sua partenza nel 1941, chiedeva al Signore.
In uno scontro a fuoco, tra Etiopici ed Inglesi il caporal maggiore inglese, che aveva condiviso con Michele la tenda, viene colpito da una baionetta, gli chiede :”Michele per me è finita, se vuoi salvarti indossa i miei vestiti, vai al comando inglese ed imbarcati subito per l’Inghilterra.Una promessa: il mio orologio e le mie mostrine dovrai consegnarle alla mia famiglia.” Turbato esegue quanto richiesto,  si imbarca.
Navigazione  durissima!!! arriva a Londra. Incontra i genitori del caporal maggiore e dopo tre mesi rientra in Italia. La nonna  e la zia che ormai non avevano sue notizie da circa tre anni vedendolo gridarono al miracolo!
Tutto il paese era in festa.
...ormai la guerra era lontana, bisognava riprendere gli studi interrotti.
Dopo tre anni si laurea con il massimo dei voti all’Università di Bari..
Aldo Moro suo relatore, durate la seduta di tesi presenta alla commissione il  laureando “Un giovine che ha donato gli anni più belli della sua vita alla Patria, e che oggi  abbisogna di tutta la nostra comprensione perché la sua amara esperienza di vita ha dato ancor più valore alla democrazia”.
Quel giovane volontario rivive ancor oggi nelle  mie piccole azioni quotidiane. 
 

  Ringrazio mio padre perché il suo  esempio di vita mi ha fatto comprendere il valore  della  “fedeltà”, la capacità insita in ogni persona  di  sentirsi parte attiva  della “storia”, ma  soprattutto di saper utilizzare ” la “ragion pratica”, di kantiana memoria, ed il “cuore” per essere cittadino concretamente e seriamente libero!

Nicla Marangelli

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