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Ho ascoltato spesso, fin da bambino, i racconti di mia madre a proposito di suo fratello Francesco, partito in guerra marinaio all’età di venti anni e mai più ritornato, dopo l’affondamento dell’unità navale “Corvetta C20 Gazzella” sulla quale era imbarcato. I suoi ricordi, lei appena adolescente, cominciano da quella lettera che dichiarava: “Considerato disperso, fin quando non darà notizie di sé”. Poi il racconto del peregrinare dei suoi genitori per porti e ministeri alla ricerca di una qualsiasi notizia o testimonianza per poter continuare a sperare che il peggio non fosse avvenuto. La fine della guerra, il passare del tempo, l’affievolirsi della speranza di rivedere il ritorno in quella povera casa del giovane figlio, fino alla “stranezza” della posa di una lapide nel cimitero del paese. Che senso ha avuto una lapide con un nome e cognome, Francesco Di Lucchio, una data di nascita e di morte incerta, una fotografia con la divisa da marinaio stampata sulla ceramica, a cui non corrispondeva nella terra una bara con un corpo, in sfacelo in fondo a chissà quale profondo mare, conseguenza di una morte di certo terribile?La necessità di un luogo consacrato laddove illusoriamente poter rivolgere una preghiera, posare un mazzo di fiori, accendere un cero e poter ravvivare il ricordo di una persona “svanita”? |
Francesco Di Lucchio, classe 1923 |
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I
tempi sono cambiati, assistiamo ad uno scambio d’informazioni, in
termini di velocità e quantità, fino a pochi anni fa a noi
immaginabile ed è così che navigando in Internet mi è bastato digitare
“Corvetta Gazzella” per scoprire che un gruppo di sommozzatori ha
trovato, dopo 62 anni dal suo affondamento, il relitto di quell’unità
navale. E non solo! Ne è venuto fuori un reportage con tanto di
fotografie, filmati ed interviste agli unici due superstiti, oramai
ultranovantenni, dell’affondamento della Corvetta C20
Gazzella. Corvetta C 20 "Gazzella"
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