30 YEARS OF AMERICAN LIFE
Intervista a Carmine "Carlo" Briscese
 
                       di Renato Mancino                                               
 
                                                                                   English version
 
 
 

 

 
 
 
 
Nei registri di nascita dell’anno 1932, presso l’Ufficio Anagrafe di Venosa, cittadina del South Italy che oggi conta circa 13.000 abitanti, è registrato come Camine Briscese.
    Molto lontano da Venosa, al di là dell’Oceano, in Florida, il cittadino americano Carlo Briscese pensa spesso al paese dove è nato ed ha passato i giorni della sua giovinezza: Venosa.
    Si tratta in effetti della stessa persona: Carmine “Carlo” Briscese, nato in Italia e oggi cittadino americano, con un nome diverso da quello di battesimo, all’uso del  paese in cui vive da tanti anni e che è diventato la sua nuova patria.
Se guarda alla sua vita per trarre un bilancio, Carmine “Carlo” Briscese rivede gli anni cupi della guerra, l’arrivo degli americani a Venosa, il campo di aviazione, l’asprezza e la fatica del dopoguerra, e riconosce che, nonostante i momenti difficili di una giovinezza senza prospettive né certezze, è stato un uomo fortunato.
    Carlo oggi è un agiato pensionato che vive negli Stati Uniti e ogni anno, per le vacanze, torna in Italia. E’ soddisfatto di sé e di quanto ha realizzato. E ne ha ben motivo. Non avrebbe mai pensato che, partito da Venosa come apprendista meccanico, un giorno sarebbe stato titolare di  un’officina autorizzata della Ferrari a Orlando,  in Florida.
    Un risultato notevole per uno che, per sfuggire alle dure privazioni di quel tempo, lasciò la casa paterna e la sua terra con un solo vestito e una valigetta di cartone, e che, con impegno e intelligenza, è stato capace di affermarsi nel suo lavoro tanto da raggiungere un livello professionale di eccellenza. Un innato talento per i motori, una sapiente professionalità e una buona capacità imprenditoriale gli hanno concesso una vita ricca di  soddisfazioni e un meritato benessere.
    Carlo oggi è orgoglioso di raccontarci la sua storia.
E’ una storia della nostra emigrazione. Una delle tante storie di quei milioni di Italiani che, dall’Unità d’Italia ad oggi, hanno lasciato la nostra patria, sempre troppo avara di pane e di lavoro con i suoi figli. Una lunga epopea che narra di tante generazioni di emigranti e delle loro speranze, a volte deluse a volte parzialmente soddisfatte, altre volte, come per Carlo, realizzate con successo.
 
 
 
Era poco più di un bambino, subito dopo l’ultima guerra, quando giunse per lui il momento di cominciare a lavorare.
    La vita era dura a quell’epoca e occorreva darsi da fare, così suo padre cercò di trovare un artigiano dove Carlo potesse imparare un mestiere: del resto, era quanto capitava a tutti i ragazzi della sua età, che se non erano avviati alla campagna venivano affidati come apprendisti al barbiere, al maniscalco, al muratore o a qualsiasi altro “mastro d’arte”.
    Però Carlo non riusciva proprio ad adattarsi a nessuna di queste soluzioni e si comportava come un piccolo ribelle.
    Lui era attratto dai motori e osservava affascinato l’officina di Mast’ Rocco Restaino, valente meccanico di Venosa. Tuttavia Mast’ Rocc aveva già quei cinque aiutanti tra apprendisti e lavoranti, sarebbe stato difficile farsi accettare.
    E così, pur senza far parte dell’officina, Carlo si faceva trovare la mattina presto davanti all’officina prima dell’orario d’apertura, e quando Mast’ Rocc doveva tirar su la pesante saracinesca, lui lo aiutava. Mast’Rocc, che aveva già una certa età, apprezzava il gesto di quel giovane volenteroso ed alla fine, dopo che anche il papà di Carlo gli chiese di prendere sotto di sé il figlio, finì con l’accettare.   
    Fu così che Carlo entrò come apprendista in officina. Era affascinato dai motori e non vedeva l’ora di cimentarsi con i segreti della meccanica: nei primi tempi, comunque, gli toccava ancora arrivare presto e ...alzare solo la saracinesca.
 

 

 
 
Nei mesi successivi iniziò la formazione professionale vera e propria.
    Mast’ Rocco era un autentico genio della motoristica ed era un insegnante appassionante. In breve tempo Carlo imparò a tirare una  testata, smerigliare le valvole, cambiare i dischi di una frizione, rifare i freni. Nel tempo libero ascoltava le lezioni teoriche del suo mastro che, con  una matita, disegnava sul muro gli schemi del motore diesel, i segreti delle pompe ad iniezione, il cavallaggio. E ancora l’uso del tornio, con cui realizzava le guide delle valvole e altri pezzi di precisione.
    La clientela non era solo del posto, ma arrivava da tutto il circondario. Con i camion Ansaldo, i Lancia serie RO e RO/RO,  gli Alfa Romeo 430, entravano in riparazione anche vecchie Balilla, le auto Fiat 1100 e 1400, le Lancia Aprilia e Aurelia, fino alle prime Alfa Romeo 1900.
    Carlo era ansioso di misurarsi su mezzi e lavori sempre nuovi ma Mast’ Rocco frenava la sua impazienza. “Fai solo quello che sai fare - gli ripeteva - Non bisogna mai improvvisare un lavoro se prima non si conosce l’automezzo. Con i clienti - raccomandava -  bisogna essere sinceri e onesti sempre.” Carlo non ha mai dimenticato nessuno degli insegnamenti del suo maestro, che sono diventati i suoi principi nel lavoro come nella vita.
    Appena diciottenne, il giovane meccanico prese la patente. Oramai era cresciuto e, come un cucciolo diventato adulto, era ansioso di misurarsi con la vita. E presto, molto presto, la vita doveva offrirgli una imprevista  occasione per metterlo alla prova.

 

 
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Un giorno giunse a Venosa un prete, a bordo di un camion militare, uno dei tanti residuati bellici che allora circolavano per le strade d’Italia. Il sacerdote proveniva dall’Istituto dei Padri Vocazionisti di Pianura, in provincia di Napoli; era capitato chissà come a Venosa, e proprio a Venosa il camion aveva cominciato ad avere problemi. E così andò a finire che Carlo conobbe Don Giacomino in officina, proprio grazie a una riparazione del vecchio mezzo militare, un Ford 8 V americano: forse un segno del destino, che da quel giorno doveva condurlo molto lontano. 
    Don Giacomino gli parlò del grande orfanotrofio fondato da Don Giustino Russolillo e lo invitò a trasferirsi da loro: avevano bisogno di un autista-meccanico in gamba come lui. Carlo rimase affascinato dal racconto e, nonostante il parere contrario dei suoi genitori, si decise a partire.
    Con pochissimi effetti e con un solo vestito giunse a Napoli con il treno. Seguendo le indicazioni ricevute da padre Giacomino, Carlo ritirò il camion 1100 dell’istituto da un garage del centro e partì alla volta di Pianura. Non conosceva le strade, Napoli a quei tempi era una città pericolosa per un ragazzo forestiero alla guida di un mezzo, ma come Dio volle tutto andò per il meglio.
    L’orfanotrofio era una realtà straordinaria. Don Giustino era una figura carismatica. Carlo realizzò rapporti di amicizia fraterna con i giovani novizi e, per un certo tempo, accarezzò anche l’idea di prendere i voti.
    Il suo lavoro consisteva nell’accompagnare le suore con il camioncino, nella loro incessante ricerca di alimenti per gli orfanelli dell’Istituto. A volte, con una vecchia Lancia Ardea, accompagnava l’economo dell’orfanotrofio a Napoli, in Prefettura, per svolgere incombenze di ordine amministrativo.   

 

 

 

 

Ma questo periodo di serenità doveva volgere al termine: un giorno Carlo ricevette la cartolina di chiamata alle armi e, a malincuore, lasciò l’Istituto.
    Effettuato l’addestramento presso il CAR di Orvieto, venne trasferito alla caserma Cecchignola di Roma. Naturalmente, la giovane recluta venne assegnata in forza al Reparto Trasporti come meccanico. Fece un corso di formazione sui motori diesel presso l’officina La Nona Ora. L’esercito aveva cominciato a dotarsi dei nuovi camion della Fiat e, via via, metteva in disuso i vecchi mezzi residuati di guerra. E così, anche sotto le armi Carlo continuava a smontare testate e valvole: era proprio il suo destino.
    Dopo il servizio militare Carlo provò anche a lavorare in un’officina a Roma. Non fu un’esperienza positiva, e dopo qualche mese  decise di ritornare alla sua Venosa. Ormai si sentiva pronto per tentare un’attività in proprio. Con un socio aprì la sua prima officina. Il paese si stava lentamente motorizzando, si vedevano in giro alcune moto e le prime lambrette. Carlo aprì una concessionaria di moto della MV Agusta. Per lui i motori non erano solo il suo lavoro, erano una vera passione.

 

 
   

 

Ancora oggi, qualcuno a Venosa ricorda una sua particolare impresa.

    Recuperando qua e là vecchi pezzi, Carlo si mise ad armeggiare nella bottega da sellaio del nonno. Montando e rimontando questi pezzi dopo l’orario di lavoro, cominciò a costruire un motore.
    Pezzo per pezzo, intorno al motore vennero aggiunti gli altri componenti, tutto quello che serve a costruire un’auto: e che strano genere di auto…
    Sembrava un mostro quello che stava prendendo forma nella bottega del nonno, che alla fine si rivelò per quello che era: Carlo aveva costruito una macchina da corsa. Dallo chassier di un 1100 aveva creato un bolide con motore maggiorato, cambio di velocità e doppio carburatore.
    Però c’era un piccolo problema.
Il bolide da corsa era venuto su pian piano, portando un pezzo per  volta nella bottega: adesso era cresciuto troppo, ed era troppo ingombrante per poter uscire dalla porta…
    Per portarlo fuori e poterlo provare su strada Carlo dovette allargare la porta, sfondando in malo modo la parete della casa.
    Suo nonno non glie lo perdonò mai.
 
 

 
Ma i tempi erano ancora difficili, i clienti erano pochi e non pagavano: si stentava a vivere. IIntanto folle di giovani disoccupati dal suo paese, emigravano in cerca di lavoro verso Milano, Torino, Genova, le città industrializzate del Nord Italia. Molti altri partivano per la Svizzera, la Francia, la Germania o l’Inghilterra senza neppure conoscere una parola di quelle lingue diverse e difficili. Così anche Carlo decise di  tentare la sorte emigrando in Svizzera. Lasciò tutto al suo socio e partì.
    Era dicembre e arrivò di sera alla stazione di Zurigo. Non trovò la persona che doveva incontrare, il suo contatto a Zurigo.
    Era inverno, nevicava. Le ore passavano. Carlo rimase completamente solo in stazione, senza soldi,  infreddolito e stanco, non sapendo cosa fare e cosa chiedere in una lingua sconosciuta.
    Ancora una volta, però, il destino tesseva la sua trama. Carlo era ormai preoccupato quando, per puro caso, comparve una sua conoscente di Venosa. Si riconobbero e scattò la solidarietà tra compaesani.
    Carlo venne immediatamente accompagnato da un altro venosino, Antonio Doria, che lo ospitò a casa sua.  Il giorno dopo proprio Antonio lo accompagnò a cercare un lavoro. Non faticarono molto. Alla prima officina che chiesero mancava, guarda caso, un meccanico. Concordarono la paga per una prima settimana di prova. Non ce ne fu bisogno di altre.
 
 
Carlo era molto bravo e il titolare dell’officina, Herr Albert Eichen, non se lo lasciò sfuggire. Rocco Impusino, un apprendista calabrese che lavorava nell’officina lo aiutò a superare le prime difficoltà con la lingua tedesca. La Gross Garage FIAT era una ditta, con cinque officine, specializzata in macchine italiane.
    Erano gli anni ’60. La motoristica  progrediva velocemente. Carlo si perfezionò sui nuovi motori a due alberi a camme con cinghia trapezoidale. Era, ormai, diventato uno dei migliori meccanici della sua ditta e in Svizzera non si viveva affatto male. Ma il destino di Carlo non era ancora compiuto.
    Nel luglio del 1969 decise di fare una visita a sua sorella Raffaella, che viveva a New York dal 1959. Raffaella aveva sposato un ragazzo italiano, Gianni Mollica, anche lui meccanico.
    Herr Eichen, il suo datore di lavoro, ebbe subito il timore che quel viaggio avrebbe potuto portare Carlo in America definitivamente. Aveva grande stima e affetto per il suo meccanico italiano e non voleva perderlo. Carlo lo rassicurò che sarebbe tornato e così Herr Eichen versò lui la cauzione di 5.000 franchi svizzeri al consolato americano per ottenere il visto turistico.
 
 
 
   

 

 

 
 
Così Carlo giunse in America.
    L’America! La terra di cui aveva tanto sentito parlare da bambino. La terra dove erano emigrati i fratelli di sua nonna Fugarazzo. La terra di quei soldati che erano giunti a Venosa, durante la guerra, per costruire un grande campo di aviazione. La terra del sergente Sammy Schneider, il suo amico americano che lui sapeva morto in missione.  
    Quella terra, appena si materializzò ai suoi occhi, gli si svelò proprio così come lui l’aveva sempre immaginata da ragazzo. Ebbe come la sensazione che il suo destino era lì, in attesa, e capì quanto Albert Eichen avesse visto giusto: era quella la sua terra promessa.
    Così Carlo decise di fermarsi. Velocemente sbrigarono le pratiche per l’atto di richiamo. Iniziò, quindi, a lavorare a New York, in un garage dell’Alfa Romeo a Long Island. Quando il garage chiuse, andò a lavorare come capo meccanico in un’altra officina a Nord Country,  specializzata anche questa su macchine italiane.
    Quel luogo aveva un clima molto rigido e si verificavano nevicate straordinarie. Carlo non ha mai  sopportato il freddo. Cominciò a pensare di trasferirsi in un posto più caldo, magari in California. Ma a seguito di una vacanza in Florida, il Sunshine State dal clima mite, decise che sarebbe stata quella la sua meta. Ormai era stabilito: tutta la famiglia vendette la casa di New York e tutti - la sorella, il cognato e i suoi nipoti - si spostarono tutti in Florida, ad Orlando, The City Beautiful.
    Ormai per lui trovare lavoro non era difficile, con tutta la sua esperienza. Cominciò a lavorare temporaneamente in un’officina Fiat a Orlando, ma non era quello il suo progetto. Il suo sogno era aprire un garage di sua proprietà. E in America i sogni si realizzano. Dopo un anno trovò un appezzamento di terra che sembrava proprio adatto, posseduto da un indiano Seminole disposto a venderlo. Adesso occorrevano capitali.
    Con il cognato, Carlo si recò presso una banca per trattare per un prestito per la loro società. La banca non chiese altra garanzia che la loro qualifica professionale e le loro referenze di lavoro: non ci fu alcun bisogno di garanzie patrimoniali, né si rese necessario far  intervenire persone influenti, come, invece, accadeva in Italia.
    Questa era l’America. Carlo e Gianni sottoscrissero un mutuo di centomila dollari, comprarono la terra dell’indiano Seminole e iniziarono la costruzione.
Dopo due anni il sogno era già realtà e nel 1972 inaugurarono il garage European Sports Car Service. Mentre Carlo e Gianni lavoravano in officina, Raffaella si occupava di amministrazione.  
 

 

 

 
L’anno dopo aprirono una concessionaria dell’Alfa Romeo, marchio ancora poco conosciuto in America  tranne che per il modello dell’Alfa Spider Duetto. Era stato per merito di un film “Il Laureato” di Mike Nichols, del 1967, che quest’auto era diventata un must per i giovani americani. Per molti anni a seguire quel Duetto rosso, guidato da un giovane Dustin Hoffman che nel film sfrecciava veloce sulle musiche di Simon & Garfunkel, rimase l’auto più desiderata da intere generazioni.  Anche la concessionaria di  Carlo e Gianni fece buoni affari con  la vendita di questa auto-culto.
    L’officina, intanto, era sempre più piena di auto sportive. La Florida, dopo la California, è lo stato americano con la maggiore diffusione di auto da corsa. La sua economia si basa sull’industria del turismo e del divertimento. Nella zona di Orlando, sulle strade dei suoi cento laghi, scorazzano, ora come allora, le più belle auto sportive d’America e, tra queste, le fuoriserie italiane primeggiano su tutte. In breve tempo l’officina si riempì di una clientela esclusiva di ferraristi, fatta di ricchi professionisti, appassionati e competenti.
    Carlo aveva fatto pratica sulle Ferrari in Svizzera. Con i loro 12 cilindri e 6 carburatori,  avevano lo stesso schema di carburazione dell’Alfa Romeo. Per lui quei motori  non avevano segreti e in breve la sua officina diventò il più importante centro di servizio dei ferraristi della città e, subito dopo, la prima officina autorizzata della Ferrari in Florida. Gli ispettori della casa di Maranello, arrivati dalla succursale del lontano New Jersey, riconobbero il livello tecnico altamente qualificato dell’officina e le concessero il prestigioso marchio: il nero cavallo rampante in campo rosso.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 
Negli anni che seguirono l’attività dell’officina andò sempre più a consolidarsi. Nel 1974 arrivarono in America anche suo padre e sua madre. Sarebbero rimasti lì per sempre. Per Carlo fu una gioia enorme poter ricongiungere la sua famiglia, godere ancora della vicinanza e dell’affetto dei suoi genitori. Inoltre per lui, figlio ribelle, era anche il momento desiderato per mostrare agli anziani genitori  quanto era stato in grado di realizzare nella sua vita in questa terra, a migliaia di chilometri da Venosa. Ora aveva la piena sensazione di essere a casa. Non sentiva più di essere un emigrante. Non era stata la stessa cosa in Svizzera, dove spesso si era sentito chiamare Italiener. E dove a questa parola non sempre si dava un significato positivo.
    Lui era Carlo, e basta. L’America era un’altro mondo. Ti accoglieva senza pregiudizi. Ti ammaliava con la sua cultura varia e multiforme. Ti conquistava con la sua generosità. E, se lo volevi, finiva per appartenerti.
   
Nel 1975 Carlo fece un breve viaggio in Italia. Fu in occasione della presentazione della Nuova Alfetta, era stato invitato dall’Alfa Romeo di Milano. Qui conobbe l’allora presidente Franco Cortese, primo pilota della Ferrari e figura leggendaria dell’automobilismo sportivo.
    Ora Carlo, grazie al livello di benessere e di agiatezza raggiunto, poteva dedicarsi anche a quella sua vecchia passione. Mise insieme una squadra corse che partecipò per anni, e con molto successo, in alcune competizioni. Aveva nella squadra anche un'auto di Tony Renis. Questo ambiente lo portò a conoscere e frequentare piloti del calibro di Mario Andretti, Campione del Mondo di F1 nel 1978, o personalità come Paul Newman e tanti altri appassionati di corse.
    Era un mondo scintillante, frequentato da belle donne, sportivi, persone ricche o famose e Carlo vi aveva avuto accesso solo grazie alle sue capacità e ai suoi  meriti. Era diventato un preparatore corse conosciuto, apprezzato e ricercato ovunque. Era straordinario. Ed era questo che rendeva straordinaria l’America.
    Ormai Carlo Briscese, il giovane apprendista meccanico che una volta costruiva improbabili macchine da corsa nella bottega del nonno, era una persona professionalmente realizzata. La sua passione era diventata il suo lavoro: è difficile ottenere di più dalla vita. Era il sogno americano che si era materializzato per lui. Con il duro lavoro e con una buona dose di coraggio e determinazione aveva raggiunto il benessere e il successo. Si era guadagnato il diritto alla felicità.

 

 

 

 

 

 

 

   

 

 
 
Fu allora che Carlo sentì il desiderio di tornare a Venosa. Nell'agosto del 1978 tornò a Venosa per una breve vacanza. Ancora una volta il destino lo chiamava, perché aveva in serbo per lui qualcosa di speciale.
Lina era una giovane e carina maestra di scuola che all’epoca insegnava a Terracina. Anche lei era in vacanza a Venosa. Entrambi erano usciti per una passeggiata con amici e si incontrarono casualmente: fu il classico colpo di fulmine.
    In un mese si sposarono e Carlo tornò in America con  moglie al seguito.
Lina, dopo un breve periodo di adattamento, trascorso in gran parte ai fornelli, cominciò ad occuparsi di amministrazione e, in breve, finì anche lei con entrare pienamente nell’organico dell’officina. Ma a breve la sua occupazione principale sarebbe stata un’altra.
    Infatti la famiglia stava crescendo. Nel 1980 nasceva Manuela e nel 1982 Maria Cristina, le due figlie di Carlo e Lina. Così, adesso erano tre le generazioni dei Briscese riunite sotto lo stesso tetto in Florida, a partire dal papà di Carlo che aveva raggiunto il figlio e Lina in America fino alle due bambine.
 
 
 
   

 

 
 
In officina, oltre alle Ferrari, adesso arrivavano i più prestigiosi modelli delle altre aziende automobilistiche italiane: Maserati, Lamborghini.
    Macchine meravigliose, bellissime, eleganti ma nessuna affidabile come la Ferrari che, con i modelli Testa Rossa, con la 348 e con la Dino Ferrari 246, era lo status symbol più esclusivo dell’Upper Class americana.    
    Nel 1982 Carlo venne invitato a Maranello per un aggiornamento sulla Ferrari 365 Daytona. In quell’occasione conobbe il mitico Enzo Ferrari, the Drake. Ferrari gli chiese da dove venisse. Carlo non aveva mai immaginato di potersi trovare, un giorno, al cospetto di una leggenda vivente, e gli raccontò la sua storia. Fu una grande emozione: al momento del congedo Enzo Ferrari gli raccomandò di mantenere sempre alto il prestigio italiano nel mondo.
Carlo lo associò al suo grande maestro Rocco Restaino. Entrambi, a loro modo, due figure di riferimento: due maestri di vita.
 
 
   
 

   

 

 
 
Allora all’European Sports Car Service, oltre alle persone di famiglia, lavoravano anche quattro dipendenti, tre meccanici e un magazziniere. A Carlo capitava spesso di rivolgere loro alcune vecchie raccomandazioni:  “Fai solo quello che sai fare” oppure “Non bisogna mai improvvisare un lavoro se prima non si conosce l’automezzo”. E ancora:  “Con i clienti bisogna essere sinceri e onesti sempre”. Le stesse raccomandazioni di Mastro Rocco Restaino, sentite tanti anni fa, in un’altra nazione di un altro continente.
    Carlo crede da sempre che la vita sia come un cerchio in cui giriamo per tornare a dare ciò che prima abbiamo ricevuto. Forse per questo ha saputo essere, a sua volta, anche un grande maestro.
 
 
 
 
 
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Carlo è in pensione dal 2003. Occupa il tempo libero nella cura del giardino della sua bellissima casa ad Orlando.
    Ogni anno, con Lina, torna a Venosa per trascorrervi parte dell’estate nella casa in cui è nato, che ha ristrutturato e che possiede ancora adesso, nella piazza di fronte al castello e a quattro passi dalla grande fontana medievale con i leoni di marmo.
    La casa è antica, forse quanto il grande castello dall’altra parte della strada, ed ha un portico fresco e ombreggiato dove Carlo e Lina amano accogliere amici e parenti e chiacchierare senza fretta, alla vecchia maniera, come si usava un tempo a Venosa.
    Carlo è orgoglioso di essere un cittadino americano. Ama la sua nuova patria, quel paese che gli ha aperto le braccia accogliendolo come un figlio, e che ha generosamente corrisposto  tutte le sue aspettative.
    Le figlie, Emanuela e Maria Cristina, abitano in una casa loro, distante cinque minuti dalla casa di Carlo. Entrambe lavorano presso la University of Central Florida. In quella terra sono sepolti i suoi amati genitori. Sua madre è morta nel 1979 e suo padre è morto nel 2004, aveva appena compiuto cento anni.
    E quella terra, che oggi custodisce le spoglie dei suoi cari, per Carlo è diventa sacra per sempre. 
    Allo stesso tempo, il suo cuore resta quello di un venosino d’altri tempi, e davvero si appassiona se i suoi amici gli parlano dei loro problemi, del lavoro che in Italia manca sempre, dei figli che sono costretti a emigrare ancora oggi: lui queste vicende le ha sofferte sulla sua pelle, le conosce bene.
    Carlo è capace di parlarti e di guardare lontano, di spiegarti che non bisogna perdere mai la speranza, che bisogna lottare proprio quando tutto sembra scuro, incerto, senza  mai arrendersi. Senza mai rinunciare ai propri sogni. Dette da lui, che ha percorso tanta strada fino a conquistare quella felicità promessa dall’American Dream, queste parole non sono vane e raggiungono sempre il cuore di chi ascolta. 
  
 
 
Attualmente il garage è stato affitato. Adesso nella sua officina si riparano Porsche e BMW, inoltre si preparano motori da corsa che vengono venduti in tutto il Nord America. La Ferrari, invece, ora che Carlo non lavora più, ha aperto a Orlando una sua succursale con officina e showroom.
    Eppure a casa di Carlo, in America, arrivano ancora tanti dei suoi vecchi clienti e amici ferraristi. Solo per salutarlo. Per chiedere un consiglio. Magari per fargli sentire come gira il motore.
    Per loro, nessuno sa capire un motore Ferrari come Carlo.
 
 
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Carmine "Carlo" Briscese è anche protagonista di una intervista che parla degli anni della seconda guerra mondiale a Venosa in www.storiedelsud.altervista.it (Pierced Steel Planking: i cancelli della guerra, paragrafo Con gli occhi dei bambini)
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Traduzione in inglese: Emanuela Briscese
Impaginazione: Pasquale Libutti
 

 

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